16 giu 2011

“FACCIAMO PULIZIA SULLE PAROLE”



“FACCIAMO PULIZIA SULLE PAROLE”
Questo rispondeva pochi giorni prima del referendum a chi parlava di “bufala” della “privatizzazione dell’acqua”, in un’intervista ampiamente riportata nei video di PUMMAROLACHANNEL a radioradicale, Stefano Rodotà, docente Emerito di diritto civile a “la Sapienza”, estensore dei quesiti referendari ed ex parlamentare. E risponde spiegando che “l’acqua rimane con un’etichetta pubblica ma è sostanzialmente privatizzata” infatti è assodato che “non è decisivo il titolo formale pubblico o privato, ma la gestione, chi gestisce il servizio è decisivo”: il problema è proprio quello di trovare nuove forme di gestione, auspicate dagli “ideatori” dei “referenda”, e non di restare alla situazione stante (per il primo quesito, secondo il sole 24 ore “si ritorna al soprannominato "emendamento Buttiglione", all'articolo 14 del decreto legge 269/2003 che legittimava l' “in house” senza la gara”). Quindi la parola “privatizzazione” non è corretta da un punto di vista formale: il “Ronchi” apriva, almeno quanto alla sinistra (vedi il video), maggiormente il mercato ai privati: ne favoriva l’entrata e, secondo le visioni liberali, potrebbe essere positivo, ma “ufficialmente” l’acqua e le reti idriche rimanevano pubbliche.
Riguardo alla balla, promossa dai sostenitori del “No”, che dice “l’unione europea ci impone le gare”, si ricorda che è falso: l’UE lascia discrezionalità nel decidere quali servizi debbano rientrare nella categoria (dinamica e non statica) della “rilevanza economica”, e cioè quali servizi debbano avere il requisito di “economicità” (per approfondire http://doc.sspal.it/bitstream/10120/1069/1/lombardo_servizi.pdf); gli altri, quelli “privi di rilevanza economica”, sono gestiti interamente dallo Stato che comunque potrebbe affidarli a dei privati o escogitare altre forme di gestioni miste (ed è la situazione dei comuni italiani in cui i servizi idrici sono “in mano ai privati”).
Si ricorda, a proposito di gestioni dello Stato o del mercato, che i promotori del referendum, sempre stando a quanto spiega Rodotà, vogliono superare il contrasto “pubblico-privato”, vogliono uscire da una gestione che sia affidata o allo Stato o al mercato (vedi la conclusione dell’intervista nel video): si aspettano le proposte operative per riempire questo concetto rivoluzionario.

Mentre invece, per il secondo quesito, c’è il rischio che “la remunerazione del capitale investito” sia spalmata su altri tipi di tasse e non sulle bollette: è infatti in vigore il principio del “full cost recovery” (cioè recupero dei costi “ambientali” e di quelli “industriali” che comprendono sia i costi di gestione che i CAPITALI investiti --–su questo bisogna dire che sostenitori sia del “No” che del “Sì” concordano sul fatto che non esistono logiche adeguate di “reinvestimento” di questi capitali e alla fine del post capiremo anche da cosa deriva il famoso “7%”---).
Intanto arrivano anche le soluzioni di finanza “creativa” dell’ACEA spa (51% a capitale pubblico e un grande ruolo di Caltagirone con circa il 9 %) che, nonostante il “disincentivo” negli intenti dei “referendari” di fargli perdere quel 7% e di rendere incompatibili le parole profitto e acqua, non sembra farsi “colpire” dall’esito referendario, o almeno cerca di “attenuare” le perdite:”l’attenzione dei manager del settore ora è concentrata sul Governo: l'aspettativa è che si possano recuperare, almeno nel breve periodo, i mancati introiti sugli investimenti (anche quelli pendenti dello scorso anno) con un intervento sulla fiscalità generale, come ha confermato ieri anche Cremonesi -----presidente di Acea Spa NDpummarola----, ad esempio riconoscendo alle società crediti di imposta. Con il risultato che alla fine, comunque, acqua privata o no, il conto lo pagheranno i cittadini FONTE IL SOLE 24 ORE .

Per questo è fondamentale tenere presente gli “intenti” e lo “spirito” di queste abrogazioni che fanno parte di un progetto più complesso: quello di far diventare l’acqua e altri beni “comuni” (e non semplicemente “pubblici”) e di farli gestire in modo da coinvolgere sempre di più la cittadinanza, svincolandosi da qualunque logica di profitto. Il principio ispiratore delle nuove forme organizzative sarebbe l’articolo 43 della nostra Costituzione che profilerebbe una “terza via” tra pubblico e privato (come crede e spiega Rodotà in questohttp://www.acquabenecomuneverona.org/2010/08/rodota-riflessioni-sui-beni-comuni/#more-1798 articolo, utile a capire anche la definizione di “bene comune”).

Infine, il tasso fisso di remunerazione del capitale investito del “7%” risale al 1996 e porta la firma di Tonino Di Pietro (dava continuità a un’iniziativa legislativa del governo Ciampi). In pratica la cifra dell’ “adeguata remunerazione del capitale” prevista dal “Ronchi” era stabilita da un precedente atto. Brunetta lo ha “rinfacciato” a “lui-noi, dell’italia dei valori” nel corso dell’ultima puntata di annozero.



Il quesito del nucleare è quello che, secondo gli esperti di statistica, i giornalisti e i politici, ha fatto da “traino”: dopo “Fukushima”, i tentativi del governo e della “malainformazione” di far disertare il voto, sono risultati vani. Inizialmente il quesito aboliva le norme che davano il via al “piano nucleare” in Italia. Berlusconi, in una conferenza stampa con il premier francese, dichiarò ufficialmente e con un’innocenza EVERSIVA http://www.youtube.com/watch?v=QoMnrtQPSxU di voler “sospendere” solo temporaneamente il nucleare per aggirare la VOLONTà POPOLARE che si doveva esprimere con il referendum, riprendendolo quanto non sarebbe stato più un tema discusso, cioè quando quei “coglioni” degli italiani si sarebbero scordati tutto… Ma stavolta non gli è andata bene (anche se, potenzialmente, interpretando la legge a livello puramente letterale il nucleare, con il “Sì” dei cittadini, si potrebbe attuare da subito senza la moratoria che lo sospendeva per un anno, secondo i promotori del No; gli italiani si sono espressi però sull’abolizione delle norme che consentono la creazione di energia nucleare sul territorio italiano: non lo vogliono. Gli anni per i quali non potrà partire più il nucleare –cioè la validità di un referendum abrogativo con esito positivo- sono oggetto di contrastanti pareri giudici (mentre l’esito negativo del referendum abrogativo dura 5 anni, ossia la norma dura per almeno 5 anni)...
Il Governo ha provato a far fallire il quesito sul nucleare annullando tutte le abrogazioni proposte dai promotori senza rinunciare ai principi ispiratori che la cittadinanza proponeva di abrogare: secondo la Corte di Cassazione si poteva tranquillamente dare il via al nucleare (e del resto quello sfacciato-EVERSORE di Berlusconi lo ha anche dichiarato ufficialmente). SENTENZA http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:U86WsFSbdGQJ:www.dirittisocialiecittadinanza.org/Documenti/ordinanza%25203%2520giugno%25202011.pdf+%22antonio+di+pietro,+signori+vincenzo+maruccio%22&cd=5&hl=it&ct=clnk&gl=it&source=www.google.it
Il Presidente del Consiglio dei Ministri provò a ricorrere alla Corte Costituzionale, tramite l’Avvocatura dello Stato e sostenuto da “Fare ambiente” al fine di invalidare la “riformulazione” del quesito decisa in Cassazione: niente da fare, si è votato! SENTENZA http://www.leggioggi.it/allegati/corte-costituzionale-sentenza-174-del-7-giugno-2011-si-al-referendum-nucleare/



A quesito riformulato le schede vengono ristampate (ed è sempre un costo per il cittadino) dopo i milioni bruciati per non aver accorpato i referendum alle amministrative (tanto paga “Pantalone”), ma non quelle all’estero che hanno il quesito “vecchio” e sono state già votate entro il 2 giugno; vecchio quesito, però, vuole sempre abolire la produzione di energia elettrica nucleare in Italia: a breve sulla questione del “quesito 3” all’estero si pronuncerà l’apposito ufficio della Cassazione e se ne dovrebbe discutere anche in parlamento.


E alla fine ecco l’illegittimo impedimento: è l’ennesima “leggina” presentata per “prendere tempo” con la giustizia: la legge è uguale per tutti, tutti i cittadini hanno già un “legittimo impedimento”: se ci sono impegni o circostanze gravi il giudice rimanda l’udienza. Sollevare “fantomatici” impegni istituzionali per evitare la legge è EVERSIVO. Avere anche 40 procedimenti giudiziari a carico è normale se si delinque con elevata frequenza. Anche scampare alle condanne è normale se ci si compra i giudici o se si cambiano le leggi depenalizzando i reati commessi prima di “scendere in campo”. Che si vuole dire di più? E’ più di un decennio che ci ammorba con la persecuzione giudiziaria…